Il mondo delle Icone dalla A alla Z, un viaggio fatto di parole per conoscere meglio l’iconografia e l’antica arte della pittura delle Icone.
I greci, quando si riferiscono ai pittori di icone, preferiscono dire: agiografo o zò graphi. I russi invece chiamano gli iconografi con il termine zhivopiszi: coloro che descrivono la vita. Quando si parla dell’iconografo, egli non è da considerare solo un pittore ma anche un agiografo, uno scrittore, il cui mezzo di espressione invece di essere la parola è la pittura. Anche per questo, quando si parla di icone si dice che esse vengono scritte e non solo dipinte.
Uno dei tratti distintivi della pittura delle icone è la bidimensionalità dei soggetti e delle ambientazioni. L’iconografo, non ha come scopo quello di una rappresentazione naturalistica ma piuttosto spirituale. Per questo i protagonisti dell’icona ignorano le leggi della realtà, finita, con le sue tre dimensioni che noi tutti conosciamo. Le figure, rese tramite pochi ma significativi tratti essenziali, vengono dipinte su fondi piatti, spesso dorati. Esse si trovano, fuori dallo spazio e dal tempo, in una dimensione assoluta, atta a rendere questa immagine una vera e propria visione ultraterrena.
Il termine culla nell’icona, indica l’incavo sulla parte frontale della tavola che accoglie la parte dipinta. Nelle icone in cui è presente la culla, l’immagine risulta ribassata e circoscritta da una cornice in rilievo, che può essere più o meno spessa. La culla, chiamata anche scrigno o arca, veniva eseguita a scalpello ed aveva un motivo pratico e simbolico: i bordi proteggono la parte dipinta e allo stesso tempo separarano in modo fisico, tangibile, la dimensione umana dalla dimensione divina in cui si trova l’immagine.
San Giovanni Mansur, detto Damasceno, nasce intorno al 675 in Siria a Damasco. Per i suoi tre “Discorsi apologetici” è passato alla storia come il più importante difensore del culto delle icone, viene anche definito come il primo “teologo dell’immagine”. Proprio grazie a questi importanti scritti, le immagini sacre diventarono ufficialmente parte integrante della liturgia.
Le prime e più antiche icone sono dipinte con la tecnica dell’encausto. Tecnica complessa, basata sull’impiego della cera d’api a caldo come legante del colore, nota già ai Greci ed Egizi, nei dipinti romani trova grande splendore. Nonostante la tecnica garantisca un’ottima resistenza all’attacco degli agenti esterni e al passare del tempo, non sono molte le testimonianze di icone ad encausto arrivate fino a noi. Come detto, è un tipo di tecnica che presenta numerosi pregi ma che è stata poco utilizzata, per essere poi praticamente abbandonata, anche a causa delle numerose difficoltà operative.
Il fondo oro compare inizialmente nei mosaici di epoca paleocristiana, se le prime tracce in pittura risalgono all’epoca bizantina in particolare nell’arte delle sacre icone dove, il fondo oro assume un ruolo e un significato portante. Nelle icone, a meno che non strettamente funzionali al racconto, non sono molto frequenti sfondi con elementi naturali o architettonici, e in ogni caso questi vengono resi in maniera stilizzata e non naturalistica. Normalmente i personaggi si stagliano su un fondo dorato, immersi in un’aura di luce, si vanno così a collocare immediatamente nella sfera del Sacro.
La grafia è la primissima fase di scrittura delle icone, il disegno preliminare che va a definire i contorni delle figure da dipingere. Può essere eseguita direttamente sulla tavola, per chi è abile nel disegno, oppure tramite ricalco e poi ripresa a pennello. A volte il disegno può essere lievemente inciso nel levkas, lo strato di gesso bianco della preparazione. Normalmente questo avviene nelle icone di grandi dimensioni, bisogna tenere conto che a luce radente l’incisione sarà sempre visibile. In entrambi i metodi, per la ripresa a pennello del disegno, viene utilizzato un colore “neutro”, come ad esempio una terra verde o una terra d’ombra.
L’Hermeneia o “Ermeneutica della pittura” è il più famoso manuale antico sulla tecnica della pittura delle icone. Preziosissimo punto di riferimento per gli iconografi di tutti i tempi, l’opera del monaco Dionìsio da Furnà, nota anche come “Guida per Pittori o Manuale del Monte Athos”, è tra i più antichi testi dedicati alle tecniche dell’iconografia. La prima parte, è particolarmente interessante per chi vuole intraprendere il cammino di scrittura di un’icona. Qui vengono descritte tutte le tipologie di icone, i modelli e il modo nel quale vanno rappresentati i soggetti fin nei dettagli.
L’Iconostasi indica la parete divisoria, scandita da tre porte che separa il presbiterio dalle navate. Su questa parete in legno, vengono tradizionalmente collocate le sacre icone secondo un ordine prestabilito. La funzione dell’iconostasi è quella di dividere lo spazio sacro, il presbiterio, a cui hanno accesso solo i religiosi, dallo spazio riservato ai fedeli, la navata, le icone affisse sono il tramite tra i due spazi. Nelle iconostasi particolarmente grandi e ricche, come spesso troviamo in Russia, gli ordini di icone sovrapposte possono essere anche tre o quattro, includendo evangelisti ed altri santi.
La parola liki indica i volti dei Santi rappresentanti nelle icone, detti “volti fuori dal tempo”. Nelle Icone, tutto è costruito in modo tale che il volto sia protagonista, è il centro della composizione, cattura immediatamente l’attenzione ed entra in comunicazione con colui che lo contempla. Il volto nell’icona, seppur ispirato dalla realtà fisica,non ricerca un ritratto realistico ma un’immagine ideale. I volti, dai grandi occhi che ci guardano, sono resi in maniera essenziale, stilizzati, portati all’essenza. I personaggi rappresentati infatti non fanno più parte della dimensione terrena ma sono immersi in quella spirituale.
L’icona del Mandylion è considerata dalla tradizione ortodossa come il vero ritratto di Cristo, nonché la prima icona della storia. Il Mandylion in greco “μανδύλιον” letteralmente “panno, fazzoletto” chiamato anche immagine di Edessa era un telo sul quale era rimasto impresso il volto di Gesù. L’immagine infatti, ritenuta di origine miracolosa, viene detta acheropita cioè “non fatta da mano umana”. Come il Volto Santo è in tutte le icone, l’icona del Mandylion ci ricorda che il volto di Cristo è nel volto di ognuno di noi.
Il nimbo o aureola è la luminosità, solitamente di forma circolare, che appare dietro alla testa del soggetto rappresentato e sta ad indicarne la luce spirituale e divina.I principali tipi di nimbos nella tradizione cristiana sono: nimbo quadrato, usato per gli alti dignitari, rotondo, usato per i Santi, nimbo cruciforme, in cui il cerchio è inscritto con una croce, riservato alla sola rappresentazione di Gesù Cristo ed infine il nimbo triangolare, esclusivo del Padre della triade cristiana.
L’olifa è la vernice che veniva usata tradizionalmente per le icone. Si tratta di un tipo di vernice grassa a base di olio di lino cotto con aggiunta di resine e sali minerali. L’olifa è un’antichissima vernice dai molti pregi, la cui ricetta è stata conservata e tramandata per secoli. Essa, garantisce durevolezza all’opera proteggendola egregiamente dagli agenti esterni e, dona una brillantezza e trasparenza ai colori unica.
Fondamentale nella verniciatura dell’icona, qualsiasi vernice si scelga, è attendere la perfetta asciugatura dei colori in modo tale da non compromettere il risultato. Bisogna avere pazienza, potrebbero volerci anche dei mesi!
Nella tecnica della prospettiva inversa, già utilizzata dagli antichi Egizi, la costruzione dell’immagine, al contrario di quello che avviene normalmente, fa convergere le linee prospettiche verso l’esterno della raffigurazione, e non verso l’interno, cioè verso colui che guarda. La tecnica della prospettiva inversa, anche detta rovesciata, si presta incredibilmente all’intento dell’icona: questo fa sì che si venga catturati da un’immagine che si rivolge a noi, ci invita alla comunione con Dio.
Un quaderno degli appunti non dovrebbe mancare in nessuno studio di un iconografo, prendere appunti durante un corso ed averlo sempre con sé è molto importante. Scrivere ci aiuta a ricordare con più facilità anche a distanza di molto tempo, ci aiuta inoltre ad essere ordinati e ben organizzati. Il quaderno di un iconografo potrebbe anche contenere : antiche ricette, schizzi preparatori, studi sui colori, esercizi di disegno, oppure cogliere il momento di ispirazione.
La parola riza nell’icona indica il rivestimento metallico, spesso si trattava di un metallo prezioso come l’ argento o l’oro, che finemente lavorato e decorato, lasciava scoperti volti e mani. Questo prezioso rivestimento, oltre ad aggiungere ricchezza e valore all’opera aveva anche una funzione strettamente pratica. Non bisogna dimenticare che le icone fanno parte integrante della liturgia, partecipano alle funzioni, vengono esposte o portate in processione. Il rivestimento quindi le protegge dagli agenti esterni, dal fumo sprigionato dalle candele devozionali, oppure dai numerosi incensi utilizzati durante le funzioni.
I termini Sankir, dal russo, o in greco proplasma, indicano il colore di base che viene utilizzato per l’incarnato nell’icona, quindi: il viso, le mani, il collo e le parti esposte del corpo. Normalmente si tratta di una mescolanza di colori tendente al verdastro, una specie di verde militare, la cui tonalità può cambiare davvero molto, fino a tendere ad un bruno, anche piuttosto scuro. Le diverse colorazioni del sankir nelle icone, possono dipendere da molti fattori ad esempio: a seconda della scuola, dell’epoca o dell’area geografica di provenienza. La tonalità del sankir, può variare inoltre in base al personaggio rappresentato, se maschile, femminile, giovane o anziano.
La scelta della tavola era una delle tante conoscenze richieste al buon iconografo. Le Icone infatti sono tradizionalmente dipinte su tavola, ovvero un supporto ligneo preparato poi con gesso e colla.
Una delle essenze preferite è il tiglio ma il tipo di legno scelto può variare a seconda delle aree geografiche, ovvero di quello che era a disposizione nei dintorni e meglio si prestava allo scopo. Fondamentale è che il legno scelto per la tavola dell’icona, non sia resinoso, con nodi e irregolarità, e che sia correttamente stagionato affinché il lavoro riesca al meglio e soprattutto duri nel tempo.
L’uovo è l’ingrediente principe della nostra tempera, alla base della ricetta dell’emulsione che ogni buon iconografo conosce. L’antica arte delle icone, è tradizionalmente legata a questo semplice e prezioso ingrediente di cui veniva utilizzato, a seconda delle tante ricette, sia solo il rosso che anche il bianco. La tempera all’uovo, è una delle tecniche più durevoli dell’arte ed ha trovato largo impiego tra i pittori. Quando si parla di tempera, non si può non citare il Libro dell’Arte del pittore Cennino Cennini, dei primi anni del 1400. Il preziosissimo trattato di pittura in cui, nella parte dedicata alla tempera, si definisce l’uovo: il legante in cui ”si lavora in muro, in tavola, in ferro, e dove vuoi”, insomma il legante perfetto!
Le icone sono state definite “finestre sul divino”, questo perchè quando ci troviamo di fronte ad esse, non abbiamo davanti un semplice dipinto a carattere religioso ma una vera e propria visione ultraterrena. Tutto nella costruzione delle icone è pensato per dirci questo: l’assenza di una fonte di luce naturale, i fondi dorati, la stilizzazione dei personaggi e delle ambientazioni, la bidimensionalità, la prospettiva rovesciata. Le sacre icone, parlano un linguaggio che tende all’essenza, pregno di simbologie e dal forte potere evocativo e comunicativo.
Le tavole destinate alle icone, vengono fatte stagionare a lungo. Questo perché il legno è un materiale vivo, cioè soggetto a movimenti e mutazioni nel tempo. Proprio per assecondare questi naturali movimenti del legno, sul retro della tavola troviamo spesso delle traverse o delle zeppe a coda di rondine.